Mi capita di ragionare spesso sul futuro del lavoro. Un futuro messo a dura prova dalle intelligenze artificiali.
La scorsa estate, ho letto tra gli altri libri The Future of The Professions, di Daniel e Richard Susskind. Ricco di spunti e di idee su come reggere l’urto degli algoritmi al lavoro, consigliato in particolare ai tanti liberi professionisti italiani. Secondo gli autori, che poi sono padre e figlio, per leggere il futuro occorre allontanarsi dai tre bias legati alla percezione umana dell’impatto tecnologico.
Errore #1. Resistenza irrazionale (irrational rejectionism): tipico di chi è scettico verso qualcosa, senza averlo provato in anticipo. I punti deboli sono rilevati immediatamente, senza fare altrettanto con le potenzialità e gli aspetti più virtuosi.
Errore #2. Miopia tecnologica (technological myopia): la tendenza a sottostimare il potenziale futuro di una tecnologia valutandola esclusivamente rispetto alla sua performance attuale.
Errore #3. Fallacia delle AI (AI fallacy): errore generato dalla supposizione secondo cui l’unico modo per sviluppare sistemi capaci di svolgere compiti in modo esperto consiste nel replicare il processo di pensiero degli specialisti umani.
You don’t know, what you don’t know
Tre bias da cui stare alla larga, dunque, e un ulteriore spunto di strada percorribile per cavalcare la human transformation. Con una precisazione, fatta dal Direttore Stefano Epifani all’interno del magazine di tecnologia Tech Economy:
In realtà tutte le professioni, tutti i mestieri e tutti i lavori sono destinati, nei prossimi anni, a cambiare totalmente. È un po’ come se ci si fosse chiesti negli anni ’80 quali modelli di macchine da scrivere sarebbero scomparse con l’avvento del computer. Guardiamo all’evoluzione come se fosse una fotografia, ma l’evoluzione è un film. Un film che ci racconta una storia che per essere a lieto fine, un po’ come in Black Mirror Bandersnatch, richiede si facciano oggi le giuste scelte per il domani.
In altre parole, parafrasando Caroline Fairchild (Managing News Editor di LinkedIn), nel futuro ci saranno un sacco di nuovi lavori. Solo, non sarai capace di svolgerli.
Qualunque sia il rapporto che si verrà a creare tra essere umano e macchina, esso si svilupperà comunque in funzione del ruolo che questi due attori giocheranno reciprocamente. Non homo adversus machinam né evoluzione verso l’uomo-macchina, ma piuttosto un rapporto simbiotico dove uomo e macchina non potranno davvero esistere l’uno senza l’altra e viceversa.
A ben pensare, in uno scenario così complesso una certezza rimane: quella di (ri)partire dalle persone.
Per approfondire il tema, ti rimando all’articolo scritto insieme ad Alessandro Giaume nel numero 2, anno 2 (dicembre 201) del Narrability Journal, la rivista dell’Osservatorio di Storytelling.