Da qualche anno si è fatta strada l’idea che quella del Content Marketing è una pratica ormai obsoleta. E il “colpo letale” sarebbe stato inferto da almeno due variabili.
- La prima consiste nel costante calo del coinvolgimento degli utenti, che – anche a causa dell’abbondanza di soluzioni tecnologiche a disposizione per fruire dei contenuti – sono passati nel tempo dal prestare attenzione a un numero limitato di stimoli in modo approfondito all’essere caratterizzati da uno stato d’interesse parziale e superficiale verso tanti fattori endogeni, eterogenei tra loro. All’interno di “Your Brand, the Next Media Company” Michael Brito parla di CADD, ovvero di customer attention deficit disorder: una carenza di focus e attenzione che riguarda molte persone e che in futuro non potrà che peggiorare per via delle possibilità offerte dalla multi-screen economy. Sono prevalentemente due i fenomeni più rappresentativi di questa condizione.
- Da una parte, esiste lo screening simultaneo, determinato nel momento in cui una persona utilizza più media e/o device nello stesso momento. Il caso più conosciuto è certamente il live tweeting che uno spettatore compie attraverso il proprio dispositivo mobile durante la contemporanea visione della televisione.
- D’altra parte, lo screening sequenziale è il risultato dell’utilizzo sequenziale degli stessi media e/o device da parte delle persone. Un esempio semplice? Il processo seguito da un potenziale acquirente, il quale analizza i primi contenuti informativi legati a un prodotto da smartphone per poi continuare in un secondo momento sul pc o attraverso altri canali.
- La seconda variabile è la trasformazione delle modalità di risposta alle ricerche degli utenti dei motori di ricerca e delle diverse piattaforme come Facebook, i cui algoritmi sono sempre più selettivi rispetto ai contenuti proposti. Gli obiettivi di tale modifica? Risolvere l’overload cognitivo delle persone generato dal surplus dei contenuti descritto nelle righe sopra, migliorando la dimensione estetica di bacheche e newsfeed. Un cambiamento che dovrebbe portare una maggiore qualità alle risposte delle ricerche effettuate, ma che rende anche più difficile – o meglio, praticamente nullo – il raggiungimento di una sufficiente visibilità per i contenuti digitali veicolati da aziende e brand.
Dal Content Marketing alla Content Mindfulness
Il risultato di queste due variabili porta a una condizione critica, dove la gran parte dei contenuti prodotti non è effettivamente fruita dagli utenti, mentre una restante quota è analizzata in modo rapido e superficiale, incapace di generare valore per la realtà che l’ha creato e/o condiviso. Ecco il pensiero di Shawn Amos, blogger dell’Huffington Post:
Siamo tutti impegnati nelle attività di clic e condivisione, ma non dedichiamo abbastanza tempo a cercare di ottenere qualcosa di sensato da tutto questo. I recenti trend verso la disintossicazione digitale e la consapevolezza mostrano che le cose stanno cambiando: le persone non hanno più intenzione di vivere nel caos. Tutto ciò che non riesce a portare valore verrà ignorato e abbandonato.
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A cosa lascerà il posto, allora, il Content Marketing?
Secondo l’autore dell’articolo, alla capacità da parte di organizzazioni e marche di raccontare storie migliori e più efficaci, le quali diventano veri connettori per fan e utenti facendo leva sulla dimensione emotiva e sulle passioni condivise. A detta di Amos, è questa l’unica via per una condizione di content mindfulness.
Cosa rende la pubblicità del Super Bowl, una super pubblicità?
A sostegno dell’affermazione si è allineato anche il mondo accademico.
Lo studio “What Makes a Super Bowl Ad Super? Five-Act Dramatic Form Affects Consumer Super Bowl Advertising Ratings“ svolto da due ricercatori della Shippensburg University ha analizzato 108 pubblicità proiettate durante i Super Bowl nell’arco di due anni, dimostrando in modo scientifico come – indipendentemente dal contenuto – gli spot capaci di narrare una storia più efficace facendo leva sullo storytelling siano poi diventati maggiormente popolari e apprezzati dal pubblico.
Budweiser è risultata essere la marca capace, più delle altre, di utilizzare al meglio le tecniche narrative.
Nello specifico, secondo lo studio scientifico le pubblicità di maggiore impatto sono quelle caratterizzate da plot drammatici, in linea con lo stile di alcuni grandi autori come William Shakespeare, capaci di creare forti connessioni emozionali.
La gente pensa che sia tutta una questione di sesso, humor o animali, è stato dimostrato che l’anima di un commercial di successo è l’abilità di veicolare o meno una storia.
Analizzare una storia efficace con la Piramide di Freytag e la Teoria del Pallone
In che modo il gruppo di ricerca della Shippensburg University ha inteso il concetto di “storia efficace”? Gli autori hanno quantificato la capacità degli spot capaci di raccontare una narrazione completa e consistente utilizzando la Piramide di Freytag, un modello atto a definire l’architettura di un’opera drammatica in funzione di una serie di specifici atti.
La piramide è costituita da cinque parti:
- exposition, il cui scopo è introdurre la storia e le informazioni contestuali;
- rising action, l’insieme degli eventi che accadono appena dopo l’inizio della narrazione e guidano verso il climax;
- climax, il punto di svolta che influenza in modo diretto il destino del protagonista;
- falling action, lo scontro tra protagonista e antagonista, da cui il primo esce vittorioso o sconfitto;
- dénouement, il momento finale dove lo stato di conflitto è stato in qualche modo risolto. Viene ristabilito un equilibrio, una situazione di routine e normalità.
A integrazione della Piramide di Freytag, secondo la Teoria del Pallone enunciata da Christian Vogler le storie più emozionanti sono quelle la cui struttura narrativa è capace di alzare e abbassare in modo intermittente le fortune dell’eroe, influendo sulle emozioni dell’audience di riferimento.
Quello a cui giungono i ricercatori della Shippensburg University è un risultato importante per le aziende e i brand, i quali in cambio della visibilità assicurata dal Superbowl arrivano ogni anno a investire nella proiezione dei propri spot durante l’evento anche svariati milioni di dollari. In un articolo dedicato all’analisi, Harrison Monarth di Harvard Business Review parla di storytelling strategico, elevando la narrazione a strumento di generazione di valore esperienziale, economico e di business.
Al giorno d’oggi lo storytelling può sembrare qualcosa di old-fashioned, e in effetti lo è. Questo è esattamente ciò che lo rende così efficace. La vita scorre all’interno delle narrazioni che facciamo e ci raccontiamo. Una storia può arrivare dove alle analisi quantitative è vietato l’accesso: i nostri cuori. I numeri possono persuadere le persone, ma non ispirarle ad agire; per fare ciò, è necessario avvolgere la visione all’interno di una storia che sappia stimolare l’immaginazione e agitare il cuore.
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